Contrariamente alle aspettative di Petreio lo schieramento dei catilinari non vacillò all'urto, ma resistette valorosamente. In particolare, i feriti ed i morti venivano man mano sostituiti dalle riserve che così, invece di intervenire solo nel momento del pericolo o dello sforzo finale come voleva la tradizione militare, erano impiegate alla spicciolata per rifornire continuamente di uomini le prime file e renderle sempre salde e compatte. Si tratta, anche a questo proposito, di una tattica poco ortodossa, frutto senz'altro d'imperizia ed improvvisazione, ma ciò nonostante efficace, oltre che innovativa e sorprendente. A proposito dell'inaspettata resistenza dei catilinari bisogna inoltre considerare che, mentre per la Repubblica combattevano almeno in prima linea soldati di professione e perciò poco motivati, dal momento che avevano di fronte dei romani come loro, dall'altra parte erano tutti volontari che, anziché fuggire e non rischiare, mettevano a repentaglio la loro vita per degli ideali che (giusti o sbagliati che fossero) li rendevano tenaci e disperati allo stesso tempo.

 

La situazione fu risolta da Petreio lanciando la coorte pretoria al centro dello schieramento avversario. E' questa una delle prime volte in cui uno storico romano cita questo particolare reparto, che sarebbe diventato famoso al tempo dell'Impero, quando i pretoriani furono il corpo scelto dell'esercito (una sorta di Carabinieri dell' antichità) e la guardia personale dell'Imperatore. Con ogni probabilità nel 62 a.C. si trattava di una coorte (480 legionari) di uomini scelti alle dirette dipendenze del comandante e forse legati a lui non soltanto da un vincolo di obbedienza militare, ma anche da un beneficio personale: paga più alta, carriera facilitata, condizioni di congedo più favorevoli. Comunque stiano le cose, fino all'età mariana e sillana non compaiono coorti pretorie, e quindi doveva trattarsi di un'innovazione molto recente.


L'azione adottata da Petreio fu risolutiva e la coorte pretoria ruppe il centro dei catilinari. Crollato questo,  anche le ali cedettero: Manlio ed il fiesolano caddero tra i primi; Catilina, come vide i suoi in rotta, con un pugno di compagni si gettò nel folto dei nemici e morì con le armi in pugno. Fu trovato in mezzo ad un mucchio di cadaveri, che ancora respirava, accanto all'aquila d'argento che aveva avuto come insegna nella guerra contro i Cimbri. Il generale Antonio, che comandava le operazioni, non ebbe il fegato di farlo curare per portarlo di fronte a un tribunale, e ordinò che venisse decapitato, ancora cosciente. Poi il lugubre trofeo fu inviato a Roma.