«In questa atmosfera mortifera, la
sensazione di essere necessari ad un'altra persona rappresentava la massima
felicità possibile».
PRIGIONIERA DI HITLER E DI
STALIN
Margarete Buber- Neuman era la
moglie del comunista tedesco Heinz Neumann. Dopo l'avvento di Hitler al
potere, emigra col marito in Russia. Nel 1937 è internata in un campo di
concentramento. Nel 1940 i russi la consegnano alla Gestapo: la sua lunga
prigionia continua nei lager nazisti.
Dall’esperienza con gli Studenti Biblici
Op. Cit. (pp. 212, 223-224)
Ogni nuova
arrivata in un campo di concentramento attraversa un terribile periodo in cui
viene scossa nella fibra stessa, indipendentemente dalla robustezza del suo
fisico e dalla saldezza dei suoi nervi. E le sofferenze delle nuove arrivate a
Ravensbrück peggioravano di anno in anno, e di conseguenza fra loro si
registrava il più alto tasso di mortalità. A seconda del carattere, potevano
volerci settimane, mesi o addirittura anni prima che una prigioniera si
rassegnasse alla sua sorte e si adattasse alla vita del campo. È in questo
periodo che il carattere dell'individuo cambia.
Gradualmente l'interesse per il mondo esterno e
per gli altri prigionieri si spegne.
Penso che non ci sia nulla di più
demoralizzante della sofferenza, una straziante sofferenza aggravata
dall'umiliazione che affligge uomini e donne nei campi di concentramento.
Quando le SS colpivano, guai a reagire.
Quando le SS angariavano e insultavano, si doveva tenere la bocca chiusa senza
minimamente ribattere. Si perdevano tutti i diritti umani, tutti, senza alcuna
eccezione. Si era solo miseri esseri contraddistinti da un numero.
Non mi riferisco a quelle prigioniere che occupavano qualche posto di responsabilità e che erano in grado di maltrattare chi era loro soggetto. Mi riferisco alle comuni prigioniere. Se sembrava che una avesse ricevuto un tantino di cibo in più, un pezzo di pane leggermente più grande, una porzione di margarina o di salsiccia un po' più abbondante, immediatamente scoppiavano odiose scene di ira e rancore.
l mio desiderio principale con le detenute del gruppo degli Studenti Biblici era quello di rendere la loro vita la più tollerabile possibile e schivare i cavilli dell'SS capoblocco.
A Ravensbrück le appartenenti agli Studenti Biblici erano l'unico blocco omogeneo di prigioniere. Quando per la prima volta mi recai al Blocco 3 avevo solo un'idea molto vaga delle loro convinzioni religiose e del perché Hitler li detestasse. Detestare è un termine moderato per descrivere ciò che provava verso di loro; li accusava di essere nemici dello Stato e li perseguitava senza pietà.
Non ci sarebbe più stata la morte e tutti i superstiti sarebbero vissuti per sempre nella felicità.
Questa semplice e soddisfacente credenza diede loro forza, rendendole capaci di sopportare i lunghi anni di internamento nei campi di concentramento e ogni trattamento indegno, ogni umiliazione, e ciò nonostante conservare la loro dignità umana. Fu data loro occasione di dimostrare, e lo dimostrarono, che la morte non le terrorizzava. Potevano morire per le loro convinzioni senza indietreggiare.
Il loro senso
del dovere e il loro senso di responsabilità erano incrollabili; esse erano
operose, oneste e ubbidienti. Le Testimoni erano, per così dire,
"prigioniere volontarie",
perché tutto ciò che dovevano fare per essere immediatamente liberate era
firmare uno speciale modulo preparato per gli Studenti Biblici, che diceva:
"Dichiaro con la presente che da oggi in poi non mi considero più uno Studente
Biblico e che non farò nulla per promuovere gli interessi dell'Associazione
Internazionale degli Studenti Biblici".
Prima che diventassi anziana del loro blocco, avevano sofferto molto perché
[la famigerata ex anziana del blocco] Kaethe Knoll aveva fatto il possibile
per impedire loro di parlare di religione l'una con l'altra. Impedire
completamente loro di parlarne e di scambiarsi gli appunti - cioè di "studiare
la Bibbia" - era una specie di tortura cinese, e Kaethe Knoll l'aveva
praticata con uno zelo perverso.
Quando una prigioniera si ammalava, doveva farne rapporto tramite me alla guardia medica. La prova critica era il termometro. A seconda della temperatura che indicava, l'ammalata veniva mandata all'infermeria, riceveva il permesso di svolgere qualche lavoro interno o veniva spietatamente mandata a compiere le sue consuete fatiche. Fra le "Testimoni" c'erano diverse donne anziane che, pur non avendo la febbre, erano così deboli da non poter assolutamente lavorare. L'unico modo per risparmiarle e concedere loro di tanto in tanto un giorno di riposo era che fornissi informazioni false sul numero delle detenute che formavano le squadre. E questo è quanto facevo. Non oso pensare cosa mi sarebbe potuto capitare se il trucco fosse stato scoperto. La cosa era resa ancora più difficile dal fatto che noi eravamo il blocco d'ispezione [le baracche che venivano mostrate agli ufficiali nazisti in visita. Ecco come l'autrice descrive una di queste visite che avvenivano senza preavviso]:
Mentre ci
avvicinavamo alle prigioniere legittimamente presenti, gridavo con durezza: "Achtung!",
al che saltavano tutte in piedi come fantocci a molla. Tutti i visitatori,
uomini o donne, SA, SS o che altro, restavano invariabilmente colpiti dalla
lucentezza dei recipienti di latta e di alluminio. Koegel di solito era
l'unico che rivolgeva domande alle prigioniere: "Perché sei stata arrestata?"
Puntualmente la risposta era: "Perché sono testimone di Geova". Le domande
finivano qui, perché Koegel sapeva per esperienza che questi incorreggibili
Studenti Biblici non si lasciavano mai sfuggire un'opportunità per dare
dimostrazione [del fatto che erano testimoni]. Dopo ciò i visitatori davano un
occhiata al dormitorio e immancabilmente esprimevano ad alta voce la loro
meraviglia per l'impeccabile ordine che vi regnava.
Quantunque Frau Langefeld, soprintendente anziana delle SS, favorisse e
proteggesse le Testimoni, una delle sorveglianti più influenti, una certa
Zimmer, le considerava le sue "bestie nere". Frau Zimmer non era mai
soddisfatta di nulla; per lei non andava bene nemmeno il letto rifatto nella
maniera più impeccabile, e non si lasciava mai sfuggire l'occasione per
insultare e maltrattare le Testimoni.
[Per turbare la pace e l'unità cristiana delle Testimoni, le autorità misero nel blocco circa 100 asociali].
Feci del mio
meglio per isolare le attaccabrighe. Tenevo le "Testimoni" in tavoli separati
affinché potessero parlare fra di loro durante i pasti senza il pericolo di
denunce, e di notte mettevo le asociali nelle cuccette più alte e le
"Testimoni" in quelle di sotto. Tuttavia, secondo quanto trapelò, le autorità
- dietro istigazione di Frau Zimmer - avevano reclutato tutte le detenute del
campo affette da incontinenza notturna, e ogni notte pioveva sulle povere
innocenti delle cuccette di sotto.
Un giorno la nostra vecchia nemica, Frau Zimmer, venne a controllare il suo
capolavoro. Immediatamente si accorse che avevo separato le pecore dai capri e
si voltò adirata verso di me.
"Non crederai che io sia cieca", dichiarò. "So perfettamente che nascondi e
proteggi queste [Testimoni]. Guai a te se separi i vermi della Bibbia dalle
asociali, hai capito?"
Non era stata la fede nella fine del mondo a rendere i Testimoni di Geova invisi al terzo Reich, bensì la convinzione che ogni organizzazione statale fosse opera del Diavolo. Le mie compagne traevano dalla Bibbia la profezia che il regime nazista coronasse il regno demoniaco della fine dei tempi. Rifiutavano di eseguire qualsiasi attività a sostegno della guerra. Per essere immediatamente rilasciate sarebbe stato sufficiente presentarsi alla capo-sorvegliante e firmare una dichiarazione con la quale abiuravano la loro fede. Nessuna abiura avrebbe salvato gli ebrei o gli zingari, che venivano eliminati in quanto tali...Attenendosi al comandamento biblico di 'Non uccidere', i Testimoni di Geova erano di conseguenza obiettori di coscienza, una scelta che era costata la vita a molti dei loro confratelli.... In un certo senso le Testimoni di Geova si potevano ritenere delle 'prigioniere volontarie'. Infatti per essere immediatamente rilasciate sarebbe stato sufficiente presentarsi dalla caposorvegliante e firmare una dichiarazione con la quale abiuravano la loro fede"
La storia di Milena
Margarete e
Milena si conobbero nel lager femminile di Ravensbruck.
Milena Jesenska, praghese, è Milena,
la destinataria delle famose Lettere a
Milena
di Franz Kafka. Giornalista, è finita a
Ravensbruck per la sua attività nella Resistenza antinazista.
Le due donne si incontrano il 21 ottobre 1940.
Grete(soprannome di Margarete) sta vivendo un'esperienza tremenda; dopo il
soggiorno nel campo di concentramento di Karakanda, nel Kazakistan, fu
consegnata ai nazisti e, dopo aver subìto brutali interrogatori da parte della
Gestapo, è stata trasferita a Ravensbruck.
Qui, dalle internate politiche, è
considerata una traditrice, perché diffonde menzogne sulla Russia sovietica.
Milena fu la prima
internata politica
che le parlò con
dolcezza e rispetto.
E Grete suo malgrado ringrazia la sorte che l'ha condotta a Ravensbruck, un
lager a circa 80 km a nord di Berlino.
Nel 1940 a
Ravensbruck c'erano 5mila prigioniere (ebree, zingare, politiche, asociali,
criminali). Verso la fine della guerra le donne rinchiuse a Ravensbruck
saranno 25mila. Dal 1939 al 1945 passano per Ravensbruck circa 130mila donne -
e bambini - ma anche 20mila uomini.
La vita infernale nei lager nazisti è tristemente nota: freddo, fame, continue
violenze, umiliazioni di ogni tipo, lavoro durissimo. Si vive nel terrore
costante della morte.
Milena non
parla delle sue sofferenze private, vuole che Grete le racconti di Stalin,
della Russia. Fa rivivere a Grete dolorosi ricordi che aveva rimosso.
Milena era stata comunista ma, dopo il 1935-36, dopo il famigerato processo di
Mosca, aveva lasciato il partito.
Aveva scritto qualcosa come:
«Ci interesserebbe sapere che cosa è
accaduto ai tanti comunisti cechi e ai semplici lavoratori che anni fa sono
andati nella Russia sovietica».
Nel 1940 si sapeva pochissimo dei lager stalinisti, la giornalista Milena
aveva compreso il valore straordinario della testimonianza di Grete.
«Quando torneremo in libertà
scriveremo un libro insieme»",
dice a Grete.
Un libro sui campi di concentramento sovietici e nazisti. Voleva intitolarlo
L'era dei campi di concentramento.
Grete è spaventata, dice di non saper scrivere. Milena la prende in giro:
«Non c'è nessuno che non sappia scrivere
a meno che non sia proprio analfabeta. Tu sei solo stata rovinata dalle scuole
prussiane. Continui ad aver paura del compito in classe».
La madre
era morta quando Milena aveva 13 anni. A 15 anni già sembrava una donna:
leggeva Hamsun, Dostoevskj, Tolstoj, Thomas Mann. Cominciano i primi dissidi
col padre.
Frequenta il Minerva a Praga, uno dei primi licei femminili in Europa.
Milena e le sue compagne sono emancipate. Sono una piccola elite di ragazze
libere, intellettualmente vivaci che si atteggiano a "decadenti, scellerate,
malaticce".
Dopo il liceo il padre vuole che Milena studi medicina per continuare la tradizione di famiglia
Milena non diventerà medico; offre denaro a chi ne ha bisogno, turbina per Praga con le sue amiche pronta ad ogni pazzia. Legge i poeti simbolisti, incontra i letterati tedeschi residenti a Praga e gli esponenti della cultura ebraica.
E' attratta
dagli intellettuali tedeschi ed ebrei perché sono diversi dal mondo chiuso nel
quale è cresciuta. Uomini, donne, fanciulle: tutti subivano il suo fascino;
per lei non esistevano barriere sociali.
E Grete racconta:
«Il mistero e la grandezza di
questa donna consistono proprio nel suo essersi calata negli abissi più cupi,
comunque li si voglia definire:
esperimenti, immoralità, coraggio o brama
di sapere -
per poi riemergerne, recuperare uno stile di vita normale, darsi compiti assai
elevati e riuscire a portarli a termine».
“Anche nella gioia, il suo sguardo era velato da una tristezza insondabile: ma non era tristezza per ciò che ci accadeva ogni giorno, negli occhi di Milena albergava il dolore di chi non ha riscatto, dell'essere umano che nel mondo si sente straniero”.
Il suo primo
grande amore fu Ernst Polack. Era ebreo e il padre gli proibì di frequentarlo
ma Milena se ne infischiò. Lavorava in banca ma in realtà fu un grande
critico, mentore e ispiratore di scrittori, prima a Praga, poi a Vienna. E'
lui che fece conoscere a Milena Franz Kafka, Franz Werfel e tanti altri.
Nel 1918 si sposano e vanno a vivere a Vienna, ma il matrimonio naufraga
presto. Ripudiata dal padre, umiliata dal marito che non la desiderava più,
cominciò a fare traduzioni e a scrivere i suoi primi articoli: furono
accettati da alcune riviste, così trovò il suo mestiere.
Milena aveva letto a Vienna nel 1920 i primi racconti di Kafka. Lo venerò per
tutta la vita, per lei non esisteva al mondo nulla di più perfetto della prosa
di Kafka.
Lei traduceva le sue opere in ceco. Il loro amore iniziò a Merano nel 1920. Le
lettere che Kafka le ha inviato testimoniano della grande passionalità ma
anche delle tragiche implicazioni di questo amore.
L'amore era per lei l'unica cosa veramente grande della vita: «La forza dei suoi sentimenti le conferiva la capacità di un'estrema dedizione spirituale, fisica, intellettuale».
Lo sommerge di lettere e telegrammi, cerca di vincere le famose esitazioni di Kafka con le donne. Comprende le paure di Kafka. Entrambi non superarono mai il dolore per la rottura col padre; Kafka poteva capirla più di ogni altro: le fece leggere la sua Lettera al padre.
Ma Kafka ha paura dell'amore, e Milena sa che la loro storia è destinata a finire presto. Il rapporto d'amore, che all'inizio era soltanto epistolare, finì presto per volontà di Kafka: era molto malato e soffriva per la vitalità di Milena.
Milena ha finalmente il coraggio di chiudere il suo matrimonio finito da tempo e si fidanza con un ex ufficiale austriaco aristocratico che al tempo della Rivoluzione aveva conosciuto la Russia ed era diventato comunista.
Dopo un breve soggiorno a Dresda, Milena tornò a Praga. L'accoglienza a Praga fu trionfale, tutti la volevano; era attorniata da intellettuali cechi, ebrei, tedeschi: era tornata nel suo mondo.
Con un nuovo
amore, Jaromir Kejcar, architetto d'avanguardia che sposa nel 1927, vivrà gli
anni più belli: la loro casa è frequentata da esponenti dell'avanguardia in
campo artistico e letterario.
Vive un periodo di pura felicità privata e nel lavoro, dove ottiene l'apice
del successo giornalistico.
Si ammala di
setticemia, il marito disperato si rivolge al padre di Milena che la salva ma
per lenirle gli atroci dolori la tiene sotto morfina.
Torna a casa dopo un anno di ospedale: è morfinomane.
Prima di
ritrovarsi,
passa un periodo tremendo. Infine diventa comunista. Lotta disperatamente
contro la morfina, intanto è un'attivissima militante comunista.
Il matrimonio va male, il marito la tradisce. Divorzia. Già nel 1935, insieme
ad altri, si fa espellere dal partito.
Con le pressioni del nazifascismo sulla Cecoslovacchia, Milena si trasforma in
cronista sempre più impegnata politicamente.
Quando nel marzo 1939 Hitler invade la regione dei Sudeti, capisce che tutti i
suoi sforzi devono concentrarsi nell'aiutare la popolazione ebraica. Si
procurava le notizie ovunque, anche dal nemico. Voleva capire fino in fondo le
argomentazioni dei nazisti per poterle confutare con precisione nei suoi
articoli.
Entra nella
Resistenza, aiuta i fuggiaschi a rimanere nascosti alla Gestapo. Organizza la
fuga di ufficiali e piloti dell'esercito ceco. Fu arrestata. Dapprima la
tennero a Palazzo Peckarna, sede della Gestapo, poi la trasferirono in una
fredda cella a Dresda.
L'alimentazione scarsa diede un duro colpo alla sua salute. Perse venti chili,
cominciò a soffrire di reumatismo articolare acuto. Dopo meno di un anno di
questa prigionia le dissero che l'avrebbero ricondotta a Praga e liberata.
In realtà fu trasferita a Ravensbruck.
Milena lavora nell'infermeria del lager. Grete fisicamente è più forte, è lei che si prende cura di Milena. Per far questo bisogna spesso violare il severo regolamento del lager, rischiando la vita.
Le SS avevano
potere di vita e di morte, ogni giorno poteva essere l'ultimo, ma le minacce
continue rafforzavano l'amicizia:
«In questa atmosfera
mortifera, la sensazione di essere
necessari ad un'altra persona rappresentava la massima felicità possibile».
Nell'estate torrida del 1941 la debilitazione e la denutrizione delle
prigioniere raggiunge il massimo. Le gambe delle donne si coprono di piaghe,
si verificano casi di paralisi, forse molte detenute sono vittime di
esperimenti sulla sifilide.
Milena nel
lager protegge alcune artiste ceche, ad esempio permise a Miska Hispanska,
giovane pittrice di talento, di dedicarsi al disegno. Grete la nascondeva
nella baracca dove era capoblocco, lei disegnava scene di vita quotidiana a
Ravensbruck.
Milena per lei ruba carta e matite. Milena nell'infermeria distribuisce di
nascosto dalle SS pasticche alle donne affette da malattie veneree: le
sifilitiche facevano una fine tremenda perché venivano sottoposte ad atroci
esperimenti; non esitava a falsificare le loro analisi del sangue e fece
passare per sane molte malate.
Tra il 1944 e il 1945 Ravensbruck diventa a tutti gli effetti un campo di
sterminio. Venne costruita una camera a gas. Si eliminano zingare, ebree, ma
anche politiche che rifiutano
per principio di riconoscersi nella
visione del mondo dello Stato nazionalsocialista.
Grete, per aver dato cibo ad alcuni prigionieri di passaggio, perde il posto di capoblocco e finisce, come vecchia politica, nella stessa baracca di Milena.
Nel 1942
Grete diventa segretaria dell'ispettrice generale delle SS. Con questo lavoro
può aiutare alcune detenute e
boicottare
molte direttive delle SS e della Gestapo.
Commette un'imprudenza e viene gettata nella cella di rigore, al buio e al
freddo. Le danno una misera razione di pane ogni quattro giorni. Milena riesce
a mandarle clandestinamente del cibo. Dopo un tempo infinito, Grete esce dalla
cella di rigore ma è mentalmente distrutta. Milena sa che le detenute con
turbe mentali fanno una fine orribile. Porta Grete in una baracca di ammalate
e l'affida alla custodia di una capoblocco amica. Ascolta pazientemente i suoi
deliri finché Grete ritrova la ragione.
Muoiono di
stenti più di 50 donne al giorno, vengono caricate sui carri e portate ai
forni crematori.
Milena è ormai ammalata gravemente, la sua resistenza si sta spezzando.
Milena muore due giorni dopo, il 17 maggio. Aveva 48 anni. Solo allora Grete si trascina esausta nella sua baracca: «Per me la vita ha perso significato».
Margarete
Buber-Neuman tornò ad essere una donna libera. Esaudì il testamento spirituale
di Milena. Scrisse il loro libro sui campi di concentramento.
Milena, poco prima di morire, le aveva
detto: «So
che almeno tu non mi dimenticherai. Per merito tuo posso continuare a vivere.
Tu dirai agli uomini chi ero, sarai il mio giudice clemente».
Grete morì a Francoforte nel 1989.
Aveva 88 anni.