VITA

 

LAVORO                        Punizioni                        Alimentazione                        Disumanizzazione                    effetti

 

LAVORO
          
                                                                                                         
I deportati erano mano d'opera di una grandiosa impresa di lavoro servile, praticamente schiavistico, per costruire delle grandi opere. Opere in genere che debbono modificare la natura in alcuni elementi cruciali: disboscare foreste, costruire ferrovie o strade, fare canali che passino da un mare all'altro.

1.      Risultati del lavoro

Dal ’31 al ’33 per ordine di Stalin fu costruito dai deportati il Canale che unisce il Mar Bianco al M. Baltico: in soli due anni fu costruita un’opera di 226 Kmsbancando terreni rocciosi, pianure ingombre di massi, paludi; furono impegnati 30 mila deportati; 

Fu costruito il Canale del Volga il quale costò un volume di lavoro sette volte quello del Mar Bianco, comparabile a Suez e Panama:128 Km,85 metri di larghezza in alto;

Fu costruita la ferrovia Lal’sk- Piujug nell’anno 1938 lunga 45 Km...che fu abbandonata! del resto il traffico nel Canal del Mar Bianco era irrisorio! Ugualmente abbandonata la ferrovia Salechard nel 1949.

2.    Condizioni

 Le condizioni sono tali che la mortalità è enorme; una mortalità che cambia molto negli anni e da campo a campo. Una mortalità media negli anni Trenta è dall'1,5% al 4,5% annuale. Si arriverà negli anni '37-'38, e poi durante la guerra, in alcuni campi, addirittura a mortalità del 25-30% annuo. (La morte non era in realtà l'obiettivo iniziale)

In estate si lavorava 14 ore al giorno, non si lavorava soltanto a partire da 55° sottozero!

Nei grandi lager dell'estremo Nord  la vita si svolge sui meno venti, meno trenta, anche quaranta gradi sotto zero, in quelli nell'Asia Centrale, viceversa, si arriva spesso sui quaranta gradi.

                                                                                                                                                                           

Alla fine della giornata lavorativa sul cantiere rimangono dei cadaveri. La neve ricopre le loro facce. Qualcuno si è rannicchiato sotto una carriola capovolta; ha nascosto le mani in tasca ed è morto così. Là sono congelati in due, appoggiati uno alla schiena dell’altro.
                                                                                                                                                  Aleksander Solzenicyn, Arcipelago Gulag

 

 

 

Punizioni

- Nel dicembre 1928 in Karelia i detenuti furono lasciati per punizione a pernottare nella foresta e 150 uomini morirono congelati -Arcipelago gulag di Solzenicyn-

- Alle isole Solovki, il lager sorge sul Monte Sekira, ricavato da un ex-monastero. Nella Cattedrale a due piani sono state sistemate le celle. I detenuti sono trattati così: “da un muro all’altro sono infisse delle pertiche dello spessore di un braccio e si ordina ai detenuti di starvi seduti tutto il giorno! Le pertiche sono ad un altezza tale che i piedi non toccano per terra. Non è facile mantenere l’equilibrio, da mattina a sera il detenuto si sforza di non cadere. Se cade i secondini arrivano di corsa e lo percuotono.”

- Sempre al Monte Sekira una lunga scala di 365 ripidi scalini unisce la Cattedrale, in cima al monte, al lago. Fu fatta dai monaci. Portano le persone sulla scala, le legano per il lungo ad una trave per dargli maggior peso e le spingono giù: non c’è un pianerottolo e i gradini sono così ripidi che la trave non rallenta mai!

- SIZO era l’isolato di punizione, un edificio al freddo, umido, buio, senza cibo, senza vetri: la "sbobba" veniva data al 3°, al 6° e al 9° giorno della reclusione;bisogni corporali in cella.

- per finire al SIZO era sufficiente: 1)non aver salutato a modo; 2)non essersi coricato o alzato per tempo; 3)essere passato per il vialetto sbagliato; 4)non essere vestito come si doveva; 5)fumare in luoghi proibiti; 6)avere oggetti superflui in baracca.

Di solito a chi sistemava male la cuccetta venivano inflitti 8 giorni in piedi sull’ attenti con la privazione del rancio a pranzo o a cena
                                                                                                                                                                                            Ivi, pag. 194

 

 

 

 

 

 

 

 

Alimentazione

La razione giornaliera indicativa era:

-dai 350 ai 600gr. di pane appiccicoso come l’argilla;
- una sbobba liquida con qualche lisca di pesce.

Di conseguenza lo scorbuto mieteva tante vittime da essere una forma di sterminio!

Le mie forze mi abbandonavano. Sempre più spesso fallivo la mia quota e, se non avessi avuto la fortuna di avere un brigadiere politico che falsificava le cifre del mio rendimento mi sarebbero spettati solo 400 g. di pane al giorno. Lavorando nei campi dal mattino presto a mezzogiorno eravamo ossessionati dal pensiero del pane. Un pomeriggio dopo aver adagiato nel solco il sacchetto che tenevo legato addosso in cui avevo riposto un pezzo della razione quotidiana di pane lo ritrovai dopo qualche istante vuoto. Solo chi ha veramente sofferto la fame può valutare cosa provai in qual momento.”
                                                                                                                                                                                                    Ivi, pag. 93

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Disumanizzazione

 

Teneva  scoperto il busto e il seno svuotato le pendeva sull’ addome. Continuavo a chiedermi perché non si coprisse, non sapevo ancora con quanta rapidità in prigione una donna possa perdere ogni considerazione per il proprio corpo.

Si nascondono i morti sotto i pancacci per avere la loro razione:

Nikonov il comandante viene ogni giorno e fa stendere tutti a terra. Poi conta i piedi. Tante paia di piedi, tante razioni di pane, minestra e semolino. Il giorno dopo annusa l’aria : "Ci risiamo, vi siete tenuti i cadaveri". Si mette a cercarli e ne trova 5 o 6...I vivi dormono accanto ai morti per ricevere la loro razione. Allora comincia a far tirare giù i morti dai pancacci , alcuni li trascinano per i piedi, solo la zucca picchia per terra. Le fosse comuni sono piene di corpi. Trasportano i cadaveri alla fossa e per tutto l’inverno le fosse non vengono coperte. Immaginatevele queste fosse...attorno girano le volpi polari. A che pro cercare topi e altre prede se qui c’è tanta carne umana ?

La rapatura delle teste degli uomini conferisce loro luniformità nell’aspetto esteriore: li rende austeri ed impersonali. Ma anche un osservatore superficiale è colpito dalla espressione delle facce,comune a tutti:sempre all’erta,prive di affabilità,senza alcuna benevolenza,facilmente aggressive e perfino crudeli. L’espressione dei loro visi fa pensare che siano stati fusi in un materiale aspro,quasi non di carne,ma di bronzo scuro per poter camminare continuamente controvento,quasi aspettando ad ogni passo di essere colpiti ora da sinistra ora da destra...Se sarà costretto a guardarvi,vi colpirà il suo sguardo ottuso e inebetito.

Condizione essenziale di successo nella lotta per la vita è la circospezione. Il loro carattere,le loro intenzioni sono tenuti nascosti;devono nascondere le loro azioni ai datori di lavoro,ai sorveglianti,ai delatori...Devono celare i progetti,i calcoli,le speranze...aprirsi significa sempre perdersi.

                                                                                                                    Aleksander Solzenicyn, Arcipelago Gulag, vol. II

A parte il fatto che le vittime dell’NKVD molto spesso non conoscevano neppure la causa del loro arresto, occorrevano mesi di vita in comune perché una prigioniera russa confidasse ad un’altra i motivi del suo arresto o della condanna. Al contrario, dopo la prima mezz’ora passata in cella, le tedesche spifferavano tutti i loro segreti siglandoli con la preghiera angosciata di non tradirle alla Gestapo. -pag181

                                                                                    Margarete Buber Neuman, Prigioniera di Stalin e di Hitler, pag. 181

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

effetti

- odio e aggressività

I gulag sono situati in luoghi selvaggi, all'interno di una natura ostile perché c'è meno bisogno di controllo: anche quelli che volessero e spesso cercano di fuggire in realtà non hanno via di scampo perché la natura li ucciderebbe. E’ quindi un’ organizzazione che cerca di usare pochi uomini di guardia, che cerca riutilizzare molto i controlli reciproci tra le diverse categorie dei prigionieri, per esempio usando i criminali comuni a far funzioni da kapò,  funzioni  intermedie di controllo nei confronti della maggioranza. Il fatto che ai teppisti e ai ladri fossero assegnati tutti i posti di comando creò le premesse per odio e aggressività: permetteva loro di derubare, picchiare e perfino sgozzare i deportati.

Violenza ingiustificata e un rigorismo esasperato spesso si scatenavano tra le detenute:

                   Non era solo l’ amministrazione a tutelarsi contro la sfrontatezza della contestatrice ma la gran parte delle prigioniere russe,
                   che disprezzava e condannava la donna macchiatasi di indisciplina

                   la gran parte delle prigioniere abusavano del potere loro assegnato anziché sfruttarlo a favore delle compagne
                                                                                                                                                                                                        Ivi, pag. 214

Violenza a vari livelli tra diverse categorie di detenuti era comune:

                  Per i criminali e gli asociali io era la “NJEMETZKAJA FASISTKA”- la fascista tedesca – come li aveva indottrinati la stampa
                  propagandistica. Tedesco corrispondeva a fascista. Inoltre ero una politica, l’essere più disprezzato in terra russa.
                                                                                                                                                                                                          
Ivi, pag. 93

 

                Una volta arrivata nei lager tedeschi, rivelando i limiti del comunismo scoprii che, “ancora prima di entrare a far parte della
                popolazione internata nel campo, ero già stata messa la bando.
                                                                                                                                                                                                        
Ivi,
pag. 196

 

- delazioni:

Le denunce erano una prassi comune nel rigido regime stalinista (“passavano gli impiegati del Comintern che si recavano al lavoro, i giusti che credevano di potersi salvare la vita grazie alla loro vigilanza rivoluzionaria e non esitavano a tradire i compagni alla polizia segreta”, “ i nostri compagni quando ci incontravano per la via non osavano più nemmeno salutarci. A tal punto il regime del Comintern li aveva avviliti con i suoi metodi della “vigilanza rivoluzionaria” e delle “autocritiche” ”); le tragiche condizioni del gulag anziché attenuare questa pratica la incentivarono:

La delazione costituiva indubbiamente il risvolto deteriore delle asociali. In campo di concentramento le amicizie assumono
un peso radicalmente diverso che in libertà.

                                                                                                                                                                                        Ivi, pag. 200

- indifferenza:

Passavano mesi, talvolta anni, prima che una prigioniera riuscisse a far fronte alle condizioni di vita del campo e vi si adattasse.
Nel corso di questo processo il suo carattere subiva mutamenti irreversibili. L’interesse per il mondo circostante e per le sofferenze
altrui si affievoliva inesorabilmente. Gli avvenimenti terrificanti del campo provocavano in lei reazioni di minor persistenza ed
intensità. L’orrore provocato alla notizia delle condanne a morte, degli assassini e delle mutilazioni spesso sfumava dopo qualche
breve istante per lasciar subentrare una risata o conversazioni sulle inezie della quotidianità.
                                                                                 
Margarete Buber Neuman, Prigioniera di Stalin e di Hitler, pag. 28 e pag. 213 

             (indifferenza e chiusura)

 Discutevamo assiduamente del nostro futuro. “Quando uscirò dal campo di concentramento mi occuperò soltanto della mia vita privata.
 Non voglio più avere niente a che fare con la politica”, suonava il ritornello.”
                                                                                                                                                                                          Ivi,
pag. 173

                 Con gli anni l’ internato si abitua a tal punto a nascondere tutto che non gli costa più nessun sforzo;gli si atrofizza il normale desiderio
                 umano di far parte a qualcuno di ciò che sente. Esiste infine una legge che le riassume tutte:Non credere,non temere,non chiedere!
                 Diventato indifferente verso il proprio dolore e anche verso i castighi che gli impongono i tutori della tribù, addirittura quasi indifferente
                 verso tutta la sua vita,l’ internato non prova compassione neppure per il dolore altrui. La visione del mondo più diffusa tra di loro è
                 il fatalismo: è inutile cercare di ottenere qualcosa con troppa insistenza o rifiutarne un’altra;ad esempio il trasferimento in un’altra
                 baracca, in un’altra brigata,in un altro lager. Potrebbe essere per il meglio come potrebbe esser per il peggio.
                                                                                                                                                               
Aleksander Solzenicyn, Arcipelago Gulag
 

- atti eroici:

Nei gulag troviamo tuttavia anche esempi di luminosa umanità:

         Ma né la filosofia né la letteratura servono più. Anche le braccia sono diventate pesanti come le vanghe e pendono.
        <Parlando si perdono troppe forze> dice Boris <stiamo zitti e pensiamo,sarebbe più utile. Potremmo per esempio scrivere versi nella mente.>.
         Mi viene un brivido:egli è capace,adesso,di comporre versi? Sopra la sua fronte gialla c’è sì l’ombra della morte,ma anche quella di un
         ostinato talento. Dunque,in silenzio,carichiamo l’argilla con le mani. Continua a piovere… 
 
                                                                                                                 
                                    Aleksander Solzenicyn, Arcipelago Gulag

Margarete Buber Neumann ne è un’ altra testimonianza;  per 7 anni ha sopportato le durissime prove dell’ universo concentrazionario serbando la propria umanità,la propria dirittura e capacità di amicizia come risulta dalle pagine della sua autobiografia. Essa ci lascia testimonianza del fatto che gli atti più insignificanti racchiudono in questo universo il valore di una vita; le più piccole trasgressioni portano infatti alla morte, e la solidarietà permette la sopravvivenza e dà speranza. In molte pagine ci racconta come i più  forti aiutano i più deboli a compiere il lavoro giornaliero che dà diritto ai 600 g di pane o come alcuni prigionieri condividano  il loro cibo.

A pag. 215 del testo più volte citato ci racconta che: chi ha qualche potere cerca di salvare gli altri almeno momentaneamente non nominandoli fra i malati che presentavano difetti fisici o tare psichiche o inabilità al lavoro e che erano destinati all’ eliminazione, oppure spacciandoli per malati in modo da trovare loro un ricovero in infermeria,cercando di trovare loro un posto di lavoro meno duro; rubando e condividendo; custodendo segreti.

 La controparte di questi atteggiamenti coraggiosi ci viene chiarita così:

sono sopravvissuta perché ho sempre incontrato persone che avevano bisogno di me, facendomi sentire necessaria mi gratificavano
delle gioie dell’ amicizia e del contatto umano
.

Del resto tutto ciò non era ben visto e M. B. Neumann testimonia che

L’amministrazione carceraria amava trasferire di tanto in tanto le detenute da una cella all’ altra, per impedire che entrassero tropp in
confidenza o stringessero fra loro rapporti duraturi.
                                                                                                                                                                        Ivi, pag. 40