Il De bello civili è tutto percorso da una satira sobria, ma a tratti graffiante, contro la vecchia classe dirigente romana. Cesare non perde occasione per colpire, nella forma di un’analisi apparentemente distaccata, la condotta dei rappresentanti dell’ordine senatorio, suoi avversari. Dietro gli ideali di cui gli optimates si dichiarano portatori non ci sono, in realtà, che meschini interessi personali e basse ambizioni. La brama di potere, l’avidità di ricchezza sono le cause che determinano la rovinosa sconfitta della parte pompeiana a Farsalo. Cesare rovescia contro i propri avversari politici l’accusa di violazione della legalità, presentandosi a sua volta come uomo della pace, della clemenza, della conciliazione.
De bello civili, 3, 82, 83, 94, 5 – 6, 96
Nel racconto dello scontro decisivo, Cesare, in modo apparentemente oggettivo e distaccato (uso della terza persona) delinea un ritratto di Pompeo decisamente negativo. L’esercito cesariano e quello pompeiano sono rappresentati come contrapposti non solo sul piano concreto e materiale ma anche dal punto di vista morale e psicologico.
De bello civili, 3, 82 : Iamque inter se palam de praemiis ac de sacerdotiis contendebant in annosque consulatum definiebant, alii domos bonaque eorum, qui in castris erant Caesaris petebant; magnaque inter eos in consilio fuit controversia, oportertne Lucili Hirri, quod is a Pompeio ad Parthos missus esset, proximis comitiis praetoriis absentis rationem haberi, cum eius necessarii fidem implorarent Pompei , praestaret, quod proficiscenti recepisset, ne per eius auctoritatem deceptus videretur, reliqui, in labore pari ac periculo ne unus omnes antecederet, recusarent.
In questo passo Cesare rappresenta i pompeiani, sicuri della vittoria alla vigilia di Farsalo, mentre, in modo sfrenato e senza alcun ritegno, si spartiscono i beni degli avversari e le cariche pubbliche, rivelando così la loro brama di potere e la loro avidità di ricchezza.
De bello civili, 3,83: continua la rappresentazione dei comportamenti vili e meschini dei pompeiani che si contendono il bottino anziché preoccuparsi del modo con cui assicurarsi la vittoria, data già per certa.
De bello civili, 3,94, 5 – 6: la battaglia sta per concludersi. Emerge il comportamento meschino di Pompeo che, persa ogni fiducia nel proprio esercito, si ritira nella sua tenda.
De bello civili, 3, 96: dopo la fuga dei pompeiani, i soldati di Cesare conquistano il campo nemico. Con sguardo sprezzante ed ironico Cesare propone una descrizione del campo pompeiano che mette in evidenza l’esibizione del lusso e dell’accuratezza eccessiva per un campo militare che si manifesta negli oggetti dell’accampamento di Pompeo: “trichilae structae, magnum pondus expositum argenti, tabernacula constrata recentibus caespitibus…” Per contrasto, l’esercito cesariano appare come il depositario dei valori del mos maiorum ( la virtus guerriera, la sobrietà).