La plebe (nella quale vanno compresi i cittadini più umili e poveri, i piccoli imprenditori e negozianti) aveva guadagnato una posizione più determinante ed avanzava maggiori diritti. La riforma dell'arruolamento militare voluta da Mario aveva allargato le fila dei combattenti: la decadenza demografica nella penisola italica e quella dei contadini proprietari avevano resa ovvia la necessità di includere nelle legioni anche i nullatenenti. Oltretutto, le enormi ricchezze affluite in Roma dalla sconfitta di Cartagine (202 a.C.) in poi erano finite nelle mani di pochi, i soliti aristocratici, che avevano impiegato quelle somme per acquistare terreni dai piccoli possidenti, creando enormi latifondi.

 

I piccoli proprietari, infatti, tenuti a partecipare come soldati nelle lunghe campagne militari, non potevano permettersi di assoldare qualcuno che curasse la terra, cosicché pagavano il salato conto al ritorno a casa, diventando preda dei latifondisti e finendo per abbandonare la campagna e andare ad ingrossare le fila del proletariato urbano.

Il proletariato romano e italico, inoltre, accedeva all'esercito e, dopo aver combattuto, avanzava le richieste di ricompensa tipiche dei veterani: un appezzamento fertile, un capitale per investire su di esso, la cittadinanza romana. Il circolo vizioso così si chiudeva. Decenni prima, anche i cavalieri avevano guadagnato posizioni nelle alte sfere della Repubblica: erano dilagati nei tribunali, ganglio vitale del potere romano. Presto, però, questa classe si era legata a stretto filo con la nobiltà nel difendere i privilegi di pochi. La società italico-romana, quindi, non sopportava più che la gestione del potere restasse nelle mani di un'oligarchia. 


È’ in questa cornice politico-sociale che Lucio Sergio Catilina, nell’anno 66, decide di correre per il consolato del 65. Ha 42 anni. Ad opporsi alla sua candidatura è l'intera casta oligarchica guidata da un abile "difensore d'ufficio": Marco Tullio Cicerone.

 

Catilina perse le elezioni ma… la congiura di Catilina...