Egli era stato messo formalmente agli arresti domiciliari nella casa di Marco Metello (del quale si pensava, tra l'altro, facesse parte dei congiurati), dopo che il senatore Marco Lepido, e lo stesso Cicerone, si erano rifiutati di prenderlo in consegna. Ci si è chiesti perché Catilina, a questo punto, non abbia fatto cadere ogni suo proposito. La congiura era smascherata, e le truppe governative stavano andando a cacciare i rivoltosi nel fiesolano. Nessuno è riuscito a darne una spiegazione. Quel che è certo è che Catilina prepara un'ultima riunione di congiurati, beffardamente, nella casa in cui è agli arresti domiciliari. È la notte tra il 5 e il 6 novembre del 63 a.C., e il gruppo prende una decisione che si rivelerà fondamentale: Catilina avrebbe preso la strada di Fiesole, raggiungendo Manlio e i suoi uomini, mentre alcuni congiurati (Lentulo, Cetego e Cassio) avrebbero preparato l'insurrezione della plebe in città.

 

Ultima mossa: il governo organizza distribuzioni gratuite di grano per tenere calmo il popolo. La congiura prende comunque il via, disperatamente. Il 7 novembre due congiurati, Vergunteio e Cornelio, si recano all'abitazione di Cicerone, con i pugnali sotto la toga, ma Cicerone non farà aprire. I due, smascherati, lasceranno la città. Si giunge quindi alla leggendaria riunione del Senato dell'8 novembre, presso il tempio di Giove Statore ai piedi del Palatino. Il luogo è facilmente difendibile e pieno zeppo di guardie armate. Il gesto di sfida, terribile e magnifico, di Catilina lascia ammutoliti i senatori: il patrizio si presenta nel consesso, va a sedersi (completamente isolato) su un gradino.  Catilina non sa ancora che verrà sommerso dalla mitica orazione (che passerà alla storia, riveduta e corretta, come Prima Catilinaria) di Cicerone. Ovviamente i toni, in quella drammatica seduta, furono meno fermi di come immortalato in seguito da Cicerone.


Ripetutamente, Cicerone chiese a Catilina di lasciare la città. Perché Catilina non venne arrestato? Dopo tutto Cicerone, da ormai venti giorni, avrebbe avuto quel potere. Probabilmente Cicerone temeva le conseguenze dell'arresto di Catilina (la città era però, come detto, presidiata): forse con quell'esortazione Cicerone (che già sapeva delle intenzioni di fuga di Catilina), voleva apparire come colui che lo aveva spinto a questa decisione. Arrestare Catilina, poi, avrebbe significato istruire un processo, nel quale l'imputato, secondo le leggi, avrebbe potuto appellarsi al popolo, al giudizio dei comizi centuriati. L'unica soluzione - ma che avrebbe richiesto a Cicerone un coraggio che non aveva - era fare arrestare l'avversario e farlo giustiziare senza processo. Catilina, quindi, poté ascoltare in tutta calma l'orazione di Cicerone, finché non lo interruppe, cercò di giustificarsi, di dimostrare che un patrizio come lui non avrebbe mai mirato ad una rivoluzione pericolosa per la Repubblica. Non poté finire il discorso, perché i senatori cominciarono a lanciargli improperi. L'uomo si alzò e (a quanto afferma Sallustio) disse: "Dal momento che, stretto tutto intorno da nemici, mi si vuole ridurre alla disperazione, estinguerò sotto un cumulo di rovine l'incendio acceso contro di me". Dopodiché uscì.

 

Catilina fuggì in Etruria dove si ricongiunse con gli armati raccolti da Caio Manlio, lasciando a Cornelio Lentulo, un suo partigiano che aveva rivestito in passato il consolato, la responsabilità di continuare a tessere le file della trama in città.