C’è una domanda che, quando non è posta esplicitamente, aleggia nell’espressione del volto dei nostri studenti: "A che serve il latino?". Per cavarsela, è disponibile un ricco campionario di risposte che sono state tesaurizzate negli anni grazie all’opera apologetica di molti.
Vi si può attingere liberamente ma è ineffabile la soddisfazione che si prova nel momento in cui si affaccia una nuova soluzione, a maggior ragione se si offre inaspettata, proprio quando non la cerchi, quando il quesito capitale temporaneamente non ti assilla con la sua urgenza.
Un giorno, durante la lettura per diletto di un poliziesco, (GIANNI BIONDILLO, I materiali del killer, Guanda, 2011) alcune righe hanno dischiuso nuove possibilità argomentative e nuove vie didattiche, che sono già state testate con successo in III e IV C:
“In tutto questo macello quelli dello SCO (Servizio centrale operativo) giunsero sulla scena del delitto non senza difficoltà, in extremis, per sentire extra moenia le relazioni di quelli della scientifica e per visionare in medias res la situazione in situ. Tutto era ancora in fieri, ma i tecnici raccontarono ab ovo cosa avevano scoperto, sapendo che in itinere molte cose erano, mutatis mutandis, da revisionare. Gli investigatori però non desideravano l’opera omnia delle loro analisi, sapevano che c’era sempre tempo per un errata corrige, volevano, apertis verbis, elementi su cui iniziare a ragionare. Dictum, factum: i tecnici, sarà per la peculiare forma mentis, spiattellarono ex abrupto le difficoltà riscontrate e quindi chiesero di pazientare ancora dato che gutta cavat lapidem”.