La Mandragora e Ulisse
“Tu ancor cadrai. Se non che trarti io voglio
Fuor d'ogni storpio, e in salvo porti. Prendi
Questo mirabil farmaco, che il tristo
Giorno dal capo tuo storni, e con esso
Trova il tetto di Circe, i cui perversi
Consigli tutti io t'aprirò. Bevanda
Mista, e di succo esizïale infusa,
Colei t'appresterà: ma le sue tazze
Contra il farmaco mio nulla varranno.
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Finito il ragionar l'erba salubre
Porsemi già dal suol per lui divelta,
E la natura divisonne: bruna
N'è la radice; il fior bianco di latte;
Moli i numi la chiamano: resiste
Alla mano mortal, che vuol dal suolo
Staccarla; ai dèi, che tutto ponno, cede.
Detto, dalla boscosa isola il nume
Alle pendici dell'Olimpo ascese;”
Questo racconto, è tratto dal decimo libro dell'Odissea, è il dio Ermes, il "messaggero degli dei", a donare la magica erba a Ulisse, affinchè egli possa utilizzarla come agente protettivo contro gli effetti maligni del filtro della maga Circe, capace di trasformare gli uomini che ne bevono in animali, nella fattispecie in maiali. Per questo la Mandragora era chiamata "pianta di Circe“. Nel racconto omerico, l'erba moly svolge dunque una funzione opposta a quella delle classiche erbe magiche.